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L’intervento delle monache nella presa di Porto Belo: un falso storico?*
La intervención de las monjas en la toma de Porto Belo: ¿una falsificación histórica?The Intervention of the Nuns in the Storming of Porto Belo: A Historical Forgery?

Hipogrifo. Revista de literatura y cultura del Siglo de Oro, vol. 10, no. 1,

Instituto de Estudios Auriseculares

Dario Testi

Instituto de Humanismo y Tradición Clásica Universidad de León, España

Received: 17/12/2021

Accepted: 29/03/2022

Sommario: Nel 1668 Henry Morgan prese Porto Belo (Panama). L’autore coevo Alexandre Olivier Exquemelin affermò che i filibustieri fecero ricorso a degli scudi umani, compresi frati e monache, per difendersi, sistemare le scale sulla fortezza principale del centro urbano e assaltarla. Tale operazione disonorevole era in linea con la caratura morale dei corsari, nonché imprescindibile dato che l’attacco fu un rapido successo, nonostante l’apparente efficienza delle fortificazioni che cingevano la città. L’obiettivo del presente lavoro è dunque mettere alla prova la veridicità delle dichiarazioni di Exquemelin al riguardo. A tal fine si analizzerà la documentazione manoscritta di produzione spagnola, frutto delle deposizioni di testimoni oculari, per comparare la versione dei fatti che offrirono gli scudi umani stessi con le affermazioni dell’autore. In ultimo si cercheranno le cause che, probabilmente, lo spinsero a distorcere la verità sulle reali modalità dell’attacco

Resumen: En 1668 Henry Morgan tomó Porto Belo (Panamá). Alexandre Olivier Exquemelin, un autor contemporáneo, afirmó que los filibusteros acudieron a escudos humanos, incluyendo frailes y monjas, para colocar las escalas y atacar la principal fortaleza de la ciudad. Esta operación deshonrosa parecería acorde con el nivel moral de los corsarios además de imprescindible, puesto que el ataque fue un rápido éxito, a pesar de las fortificaciones que protegían la urbe. El objetivo de este trabajo es someter a prueba la veracidad de estas dinámicas. Así, analizamos la documentación de producción española, resultado de las declaraciones de algunos testigos de vista, a fin de estudiar la versión de los hechos que proporcionaron los mismos escudos humanos. Finalmente, estudiamos las causas que, potencialmente, empujaron el autor a alterar las modalidades del asalto.

Palabras clave: Henry Morgan, monjas, Panamá, Porto Belo, escudos humanos.

Abstract: In 1668 Henry Morgan took Porto Belo (Panama). Alexandre Olivier Exquemelin, a contemporary author, claimed that the filibusters used human shields, including friars and nuns, to place the stairs and storm the main fortress of the city. This dishonourable act would seem in line with the moral calibre of the pirates as well as essential, given that the attack was a quick success despite the fortifications that surrounded the city. Therefore, the aim of this work is to test the historicity of such dynamics. For this purpose, we analyse the unpublished documentation of Spanish production, the result of the depositions of eyewitnesses, to examine the side of the story that offered the human shields themselves. Finally, we look for the reasons that, possibly, led the author to twist the real methods of the attack.

Keywords: Henry Morgan, monache, Panama, Porto Belo, scudi umani, Henry Morgan, Nuns, Panama, Porto Belo, Human shields.

1. Il contesto geostrategico

Da un punto di vista militare ed economico, nel xvii secolo l’importanza strategica delle città di Panama «la Vieja», Nombre de Dios e posteriormente Porto Belo1 derivava dalla loro funzione di scali lungo la rotta che collegava i giacimenti argentiferi peruviani alle casse della Casa de Contratación di Siviglia2. Un’attività tanto redditizia destò l’interesse delle potenze europee che rivaleggiavano con la Spagna3. Queste non ebbero modo di impiantare avamposti permanenti nei Caraibi fino al 1655, anno in cui l’Inghilterra e la Francia occuparono, rispettivamente, la Giamaica e Tortuga4. Si servirono dunque della guerra di corsa, una pratica che divenne sempre più intensa nei decenni, come si evince dall’analisi delle fonti coeve5. Le incursioni costanti fecero di Panama un territorio di frontiera6, e già Filippo II aveva deciso di proteggere i gangli della rete commerciale atlantica per mezzo di una serie di fortificazioni dotate di guarnigioni permanenti7.

Nel tempo, a Porto Belo sorsero tre fortezze indipendenti, eppure furono sufficienti poche ore affinché cadessero nelle mani di Henry Morgan, colonnello ed ammiraglio gallese delle forze di Port Royal8. Alexandre Olivier Exquemelin9 affermò che l’urbe «è la piazza più forte che il re di Spagna ha in tutte le Indie Occidentali, con la sola eccezione dell’Avana e Cartagena», ma scrisse anche che nessuno era al corrente del loro arrivo10. La notte dell’11 luglio 1668 i filibustieri11 lanciarono un’incursione a sorpresa ed entrarono in città, sbaragliando le milizie spagnole e catturando numerosi civili dei quali, secondo lo stesso autore, si servirono in qualità di scudi umani per prendere Santiago de la Gloria. Dal suo racconto si deduce che nell’operazione vennero coinvolte anche delle monache che, obtorto collo, trasportarono le scale e subirono vittime ingenti.

Exquemelin scrisse che «corse un plotone di pirati verso i chiostri, prendendo prigionieri tutti i religiosi e le monache». Dopodiché gli inglesi costruirono alcune scale e si servirono degli ostaggi per trasportarle, e Morgan «ordinò a tutti i religiosi e religiose, suoi prigionieri, che le piantassero alle muraglie della fortezza». Il governatore della città non ordinò il cessate il fuoco, anche se «i religiosi gridavano e pregavano per tutti i santi del Cielo che consegnasse il castello per potersi salvare, così come le povere monache». Nonostante il fuoco incrociato, «alla fine, al prezzo della perdita di molti religiosi e monache, appoggiarono le scale» e i filibustieri presero la fortezza, senza dare quartiere alla guarnigione12.

L’obiettivo del presente lavoro è dunque verificare l’attendibilità della ricostruzione che Exquemelin fece di quella fase dell’assalto di Santiago, appurando se realmente le monache vi parteciparono e in che maniera. Si analizzeranno i documenti inediti di produzione spagnola per confrontare la versione di quegli stessi fatti che offrirono i testimoni oculari. Successivamente, si verificherà l’attendibilità di alcune affermazioni formulate dal corsaro, oltre a presentare le conseguenze legali di talune di esse e cercare una chiave di lettura nella sua parzialità di veterano insoddisfatto. Le fonti utilizzate sono le opere di autori dell’epoca che dedicarono le loro penne a Porto Belo o, in generale, a Panamá, nonché i documenti dell’Archivo General de Indias (AGI), sia pubblicati che inediti, focalizzando l’attenzione sui processi giudiziari che seguirono alla caduta dell’urbe. Il vaglio delle pubblicazioni accademiche in merito accompagnerà la rilettura di quegli avvenimenti, fornendo spunti di riflessione e prospettive d’indagine.

2. Le fonti documentarie dell’Archivo General de Indias

L’idea che i corsari di Morgan usassero le monache come scudi umani e con un ruolo attivo si basò unicamente sulle parole di Exquemelin e sul giudizio di alcuni storici e saggisti successivi. Sebbene espressero dubbi al riguardo, non smentirono con decisione questa versione e alterarono persino alcune dinamiche riportate nella documentazione spagnola13. La bassa reputazione di cui i filibustieri godevano presso le loro stesse autorità politiche e militari14, nonché le violenze che erano soliti perpetrare, non dovettero stimolare scetticismo di sorta verso quei misfatti, né incentivare l’attività critica in tal senso15

La documentazione dell’AGI che è stato possibile consultare, nonostante l’emergenza Covid, ovvero la lunga serie di testimonianze che si raccolse a seguito dell’assalto e che attualmente è catalogata come Escribanía 462A, offrì una versione diversa dei fatti16. Sebbene un numero ristretto di testimoni confermò che i corsari impiegarono alcuni prigionieri come scudi umani, molto pochi in verità, non fece riferimento a un loro ruolo attivo nel posizionare le scale. Neppure menzionò mai la partecipazione di monache, né tantomeno vittime tra di esse. Inoltre, gli spagnoli difendevano loro malgrado i filibustieri che tentavano di bruciare la porta orientale, mentre l’attacco con le scale avvenne lungo il settore nord della muraglia, che affacciava sul mare.

Andrés Fernández Dávila, giudice (alcalde mayor) della città nonché testimone oculare dei fatti, spiegò che il nemico «fece portare i prigionieri che erano detenuti nella chiesa, tra i quali era presente il sottoscritto, e ne fece una trincea»17. Lo confermarono l’alfiere Cristóbal García Niño e José de la Pinilla, artigliere di San Jerónimo, e specificarono che entrambi parteciparono ai fatti18. Pedro de Arredondo Agüero, castellano di San Jerónimo, e il capitano Gaspar de Astudillo diedero la medesima versione, anche se erano rinchiusi nella chiesa e dalla loro relazione si evince che non presero parte all’assalto19.

Antonio de Molina, soldato scelto (soldado aventajado) della guarnigione di Santiago, aggiunse un dettaglio riguardo il genere dei prigionieri. Disse che sapeva, e quindi che non vide, che il nemico avanzava «trincerandosi dietro gli abitanti del luogo, tanto donne come uomini»; lo stesso affermò Juan de Andueza, capitano e giudice (alcalde ordinario) che era in città durante gli scontri ma che, ferito ad una gamba, si ritirò in tempo in un luogo chiamato Matapalo onde evitare di essere catturato20.

Alonso Martín de la Parra, soldato di Santiago, sottolineò la presenza dei religiosi fra gli ostaggi e disse di sapere che gli inglesi «portarono tutte le donne, chierici e frati che avevano fatto prigionieri per collocarli davanti alla porta principale e bruciarla, facendone una trincea»21. Cristóbal López de San Esteban, un altro soldato di Santiago, riferì quelle dinamiche negli stessi termini, anche se i due non furono testimoni oculari22.

Il tenente Juan de Pineda, con la ripetitività propria degli atti giudiziari dell’epoca, disse che gli scudi umani non subirono danni. I corsari attaccarono la fortezza «proteggendosi dietro i prigionieri, ma dal castello di Santiago solamente un pezzo d’artiglieria aprì il fuoco, mentre il nemico coi prigionieri erano ormai alla porta del castello, senza ricevere offesa alcuna dai difensori»23. Juan Muñoz, soldato di Santiago, disse di sapere che parte del contingente filibustiere «si barricò dietro le case e si proteggeva con donne e abitanti del luogo mentre si avvicinò alla porta» e aggiunse tuttavia che due frati vennero feriti nell’operazione24. Il soldato Diego Pérez, che in quel momento era rinchiuso nella chiesa, confermò che «avanzarono verso la porta del castello di Santiago dove già avevano appiccato il fuoco alla porta e obbligarono i prigionieri a terminare il lavoro, per poter evitare i pericoli del castello, e avendo aperto il fuoco con un pezzo25 del castello caricato a mitraglia ferirono due religiosi dell’ospedale»26.

Infine, lo stesso Pineda aggiunse dei dati numerici: «portarono il qui presente testimone con altri otto o nove prigionieri davanti alla porta del castello al fine di trincerarsi dietro di loro mentre appiccavano il fuoco alla porta […] tanto donne come uomini»27. Per ultimo, un testimone inglese il cui nome venne storpiato in Roberto Uorni affermò che nel corso delle trattative successive, volte a garantire la restituzione della città alle autorità panamensi, gli intermediari erano accompagnati dagli ostaggi, ovvero «tutti i prigionieri, uomini e donne oltre al giudice [sic.] Don Pedro de Arredondo, Don Antonio de la Gama, oltre a chierici e frati e Don José de la Vega». È evidente che neanche in questo caso si fece riferimento alla presenza di religiose; in generale, nessuno affermò che i civili ebbero un ruolo attivo nell’assalto28.

Tabella 1.
Elenco degli elementi contenuti nell’opera di Exquemelin e nelle dichiarazioni dei testimoni spagnoli riguardo l’assalto di Santiago de la Gloria. Nella tabella si segnala se furono testimoni oculari, se menzionarono la presenza di donne, monache, religiosi, feriti e vittime, e se riportarono dati numerici

3. La critica a Exquemelin

In una recente pubblicazione si confermò che la vittoria inglese si dovette all’impreparazione della guarnigione spagnola nonché al vantaggio di Morgan, che pianificò con cura ed eseguì un’incursione notturna a sorpresa. Ergo, la presa e il sacco di Porto Belo potrebbero aver avuto luogo anche in assenza di scudi umani29. Inoltre, nelle stesse fonti letterarie, documentarie e iconografiche che confermarono la presenza dei frati nella città dell’Atlantico, non v’era traccia di monache o suore30. Questo paragrafo è dedicato dunque all’analisi di alcuni dettagli controversi dell’opera del corsaro cronista, che misero in luce la congerie di cause che lo spinse, volontariamente o meno, ad alterare almeno alcuni dei fatti di quella notte del 1668.

In primo luogo, Exquemelin non fu un testimone oculare della presa di Porto Belo, per cui non presenziò l’assalto alla fortezza di Santiago de la Gloria. Si arruolò solo nel 1670 nel contingente di Morgan, il che potrebbe essere all’origine di eventuali errori involontari31. Nella sua opera, in generale, non mancarono le alterazioni intenzionali della realtà, per cui Earle scrisse che «quasi mai il suo resoconto è totalmente e assolutamente sbagliato, e alle volte notevolmente corretto», mentre Breverton sottolineò la natura «sensazionalista» del testo32.

In secondo luogo, la relazione di reciproca fiducia che legava l’ammiraglio ai suoi uomini si ruppe del 1671, quando abbandonò parte di essi al loro destino a seguito della campagna di Panama «la Vieja», portando con sé il bottino: «riservando il meglio per sé, cosa che gli altri suoi compagni gli dissero in faccia […] ma Morgan divenne sordo a tutto, come se volesse ingannarli […] e ci lasciò in uno stato così miserabile»33. È quindi logico supporre che l’autore inserisse dei dati volti a denunciare pubblicamente il colonnello e i suoi fedeli, che definì «uomini senz’anima»34. Ciò potrebbe aver avuto come conseguenza l’alterazione intenzionale della veridicità di alcuni dettagli del resoconto35. Quest’avversione che l’autore provava nei confronti del suo vecchio ufficiale, nonché dei corsari in generale, è evidente già dal titolo dell’opera, posto che nella versione originale in olandese vennero definiti zee-roovers (ladri dei mari), nella prima versione in castigliano piratas e in quella inglese buccaneers 36.

Verbi gratia, gli storici criticarono l’affermazione dell’autore riguardo l’esplosione della polveriera di Santiago de la Gloria, una forma pirotecnica di esecuzione sommaria della guarnigione spagnola37. Nel 1684 si diedero alle stampe le prime due versioni inglesi del suo testo ad opera di Thomas Malthus e William Crooke, che Morgan denunciò l’anno successivo per quella che oggi definiremmo diffamazione38. Crooke dovette quindi pubblicare una lettera di scuse in cui smentì dei generici dati «falsamente riportati», confermando che i fatti trasmessi riguardo «l’esplosione del castello di Porto Belo non sono veri»39. Malthus si discolpò nell’edizione successiva che diede alle stampe nella cui dedica, al contrario, incluse dei versi per celebrare l’ammiraglio gallese: «La fama del grande Morgan durerà finché ci sarà / il rullo di un tamburo o qualsiasi suono di Guerra»40.

Sfortunatamente, negli atti del sopracitato processo e negli scambi epistolari di Morgan e delle autorità di Port Royal non si fece riferimento all’uso di scudi umani nella presa di Santiago de la Gloria, per cui la loro presenza non venne confermata né smentita nelle fonti coeve di produzione inglese.

Conclusioni

Alla luce dell’analisi realizzata, Exquemelin scrisse una versione distorta di quei fatti specifici inerenti all’assalto della fortezza spagnola. Da un lato, c’è la possibilità che l’alterazione fosse involontaria, posto che non partecipò all’operazione, non assistette all’attacco e non era quindi in possesso di dati di prima mano. Dall’altro, si è menzionato le ragioni che potrebbero averlo spinto ad una falsificazione volontaria. Così, riuscì probabilmente nel difficile intento di peggiorare la reputazione già negativa degli uomini di Morgan e, in generale, dei filibustieri di Port Royal. Stilò infatti una variante molto più cruda del resoconto stesso delle vittime che subirono quell’aggressione e che vennero catturate e degradate al ruolo di scudi umani. La sopracitata documentazione dell’AGI, invece, seppur riferì dettagli degni di nota riguardo preti e frati, finanche donne, non entrò nel merito della loro eventuale devozione monacale e si limitò a citare pochi feriti e tutti tra i religiosi, il che non corrispondeva alla «perdita di molti religiosi e monache» riportata dal corsaro.

In conclusione, allo stato attuale delle indagini e in attesa di ulteriori ricerche presso l’Archivo General de Indias, è altamente probabile che la partecipazione delle religiose all’assalto al castello, seppur verosimile in quel contesto bellico e di avversione confessionale, rientrasse in quei dati «falsamente riportati» che Crooke denunciò nella sua lettera di scuse.

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Nota

* Il presente contributo rientra nelle linee di ricerca del Gruppo di ricerca riconosciuto «Humanistas» (HUMTC) dell’Universidad de León, Spagna. Si ringrazia Lorenzo Maria Ottaviani per la traduzione dell’abstract e Daniele Arciello per il supporto logistico.

1 Panama venne distrutta da Henry Morgan nel 1671 e prese l’appellativo di «la Vieja», o «la Vecchia», per distinguerla dall’urbe omonima che si edificò in sua vece (Mena García, 1984, pp. 72, 73). Il 13 agosto 1596 Nombre de Dios fu assaltata da Francis Drake; come conseguenza il 20 marzo dell’anno successi­vo si fondò Porto Belo (Antonelli, Las fortificaciones americanas del siglo xvi, pp. 41 e ss.; Mena García, 1992, p. 280). Nelle cronache e nei documenti il toponimo venne indicato con una combinazione di due variabili: Porto/Puerto e Belo/Bello/Velo, con o senza spazio.

2 Zapatero, 1976, p. 227; Paniagua Pérez, 1993, p. 134. Dell’argento che arrivò in Spagna tra il 1576 e il 1660, il 65% circa transitò per l’istmo. Vedere Vila Vilar, 1982, p. 275. Jaén Suárez scrisse quindi che «il sentiero agreste e accidentato che conduceva gli uomini verso la mediocre città di Panama divenne la rotta imperiale dell’oro e dell’argento del Perù, nella rotta dorata dell’economia mondiale che era appena nata con la modernità» (1998, p. 52).

3 Bosch scrisse che «dobbiamo rileggere la storia dei Caraibi alla luce delle guerre che la Spagna muo­veva in Europa» (2009, pp. 207 e ss.). Sull’argomento si veda Garavaglia, 2005, pp. 340 e ss.; Moreno Álvarez, 2007, pp. 382, 383; Delgado Ribas, 2007, pp. 19 e ss.

4 Earle, 1981, p. 36; Bosch, 2009, pp. 247 e ss.; Reichert, 2012, pp. 179 e ss.; 2013, p. 10 e 2016, p. 122. Per un’analisi approfondita della campagna di conquista della Giamaica, Tortuga e dei territori minori che i nemici della Corona spagnola occuparono nei decenni precedenti, si rimanda a Pope, 1978, pp. 71 e ss.; Exquemelin, Piratas de la América, lib. II, caps. 2, 5; Sanz Camañes, 2004, p. 323.

5 Carta de la Real Audiencia de Santo Domingo, del 31 ottobre 1537, in Rodríguez Morel, 2007, p. 302; López de Haro, Carta-relación a Juan Díez de la Calle, p. 157.

6 Antonelli, Las fortificaciones americanas del siglo xvi, p. 5.

7 Hoffman, 1980, p. 21; Ward, 1990, p. 344; Sanz Camañes, 2004, p. 315; Segovia Salas, 2006, pp. 11, 12; Zambrano Pérez, 2007, p. 56.

8 Nel 1597 ebbe inizio la costruzione di San Felipe de Sotomayor nella costa settentrionale della baia, e nel 1601 fu la volta di Santiago de la Gloria lungo quella meridionale, ad ovest di Porto Belo. L’opera difensiva si completò a partire dal 1656 con l’edificazione di San Jerónimo, nel fondo della baia, ad est del centro abitato. Per un giudizio di autori del xvii secolo si rimanda alla lettura di Ocaña, Viaje por el Nuevo Mundo, p. 83; Gage, Los viajes de Tomás Gage a la Nueva España, lib. II, cap. 4 e lib. IV, cap. 11; Valencia, Relaciones de Indias, p. 207.

9 Seppur redasse una delle opere più importanti sulla pirateria del XVII secolo, non sono noti molti dati biografici, come per esempio la nazionalità e il vero nome. Le opzioni più plausibili erano quella olandese e francese, anche se la seconda riscontrò un maggiore consenso all’interno della comunità scientifica. Vedere Sánchez Jiménez, 2013, p. 23; Payton, 2013, p. 361. In questo contributo, le citazioni che proven­gono dalle cronache moderne sono state tradotte a partire dalle edizioni critiche citate in bibliografia. Dove possibile, si è cercato di mantenere la struttura originale della frase, senza escludere le ripetizioni e gli errori nella consecutio temporum.

10 Exquemelin, Piratas de la América, lib. II, cap. 6.

11 Nella seconda metà del xvii secolo gli uomini che mettevano le proprie armi al servizio della Giamai­ca e di Tortuga in qualità di corsari erano definiti «filibusitieri». Vedere Pope, 1978, pp. 2, 18.

12 Exquemelin, Piratas de la América, lib. II, cap. 6.

13 Pope, un saggista, definì il resoconto del corsaro «improbabile» e scrisse che la questione non pareva veridica, posto che Morgan denunciò gli editori inglesi di Exquemelin. Aggiunse che «non era chiaro il motivo per cui degli uomini incaricati di salire su delle scale sotto un fuoco pesante, avrebbero dovuto lasciare ai frati e alle monache il compito di posizionarle»; eppure, da un punto di vista puramente logico, non era così insensato lasciare che fossero gli scudi umani ad eseguire parte di un lavoro tanto peri­coloso (Pope, 1978, pp. 151, 152). Earle (1981, pp. 61, 266) fu il primo storico a pubblicare il contenuto della documentazione spagnola sulla presa della città. Smentì la versione del corsaro e affermò che frati e monache non vennero impiegati per posizionare le scale, bensì come impavesata mobile. Nello specifico, citò la testimonianza di Astudillo e De la Parra, seppur nessuno dei due menzionò religiose. Latimer (2009, pp. 177, 178) riportò esattamente la stessa successione dei fatti citata da Earle nonché le medesime fonti, così come le testimonianze di Astudillo e De la Parra. Graham (2014, p. 48) definì le due versioni «controverse» e citò il giudizio vinto da Morgan, aggiungendo che «questo particolare incidente poteva avere o meno un fondamento nella realtà dei fatti, eppure permase nella maggior parte delle tra­duzioni». L’analisi più completa di quei fatti venne pubblicata da Castillero Calvo nel 2016.

14 Da numerosi scritti dell’epoca si evince che la feccia d’Europa era solita fare vela ai Caraibi in cerca di fortuna. Vedere Bosch, 2009, p. 289; Jowitt, 2010, p. 10; De la O Torres, 2019, p. 276. Per il giudizio di autori dell’epoca si consiglia di consultare Venables, The Narrative of General Venables, p. 30; A Brief and Perfect Journal of the Late Proceedings and Success of the English Army in the West Indies, in Oldys, The Harleian Miscellany, vol. III, p. 513; Mémoiresur l’île de la Tortue envoyé à Colbert par d’Ogeron de la coste Saint-Domingue, del 20 luglio 1665, in Vaissière, 1909, p. 18; Child, A New Discourse of Trade, cap. X. Lo stesso Exquemelin testimoniò che non era raro che gli abitanti della Giamaica perdessero la libertà per i debiti contratti in taverna. Exquemelin, Piratas de la América, lib. I, cap. 7.

15 In un resoconto del 1670 sulla presa di Porto Belo si scrisse che «una donna venne spogliata su di una pietra da forno e arrostita, perché non confessava riguardo i soldi che aveva solamente nella loro presunzione». John Style to the Principal Secretary of State, Whitehall, del 4 gennaio 1670, in Sainsbury, Calendar of State Papers, Vol. VII, p. 50. Alcuni testimoni spagnoli accusarono una donna del luogo, María Tamayo, la moglie del tenente Alonso Puerto, di aver collaborato con gli inglesi, indicando loro una prigioniera che probabilmente aveva nascosto beni preziosi: «la sottopose ad infiniti tormenti, brucian­dole parti che per decenza non si menzionano». AGI, Escribanía 462A, fol. 149r.

16 «Residencia de Agustín de Bracamonte Dávila, gobernador y capitán general interino de Tierra Firme y presidente interino de la Audiencia de Panamá, por Miguel Francisco de Marichalar», 10 novembre 1671-13 maggio 1672 (fols. 86-209); «Autos, diligencias e informaciones sobre la pérdida de Portobelo y su ocupación por los ingleses», 1668-1672 (fols. 210-472); «Informe de la residencia secreta efectuado por el juez de residencia», 2 maggio 1672-29 ottobre 1674 (fols. 489-998).

17 AGI, Escribanía, 462A, fol. 243r.

18 AGI, Escribanía, 462A, fols. 248r, 659v, 675v.

19 AGI, Escribanía, 462A, fols. 246r, 249v.

20 AGI, Escribanía, 462A, fols. 610r, 696v.

21 AGI, Escribanía, 462A, fols. 258v, 626v, 627r.

22 AGI, Escribanía, 462A, fol. 259v.

23 AGI, Escribanía, 462A, fol. 154r.

24 AGI, Escribanía, 462A, fols. 633v, 634r. Numerosi testimoni del processo affermarono che gli artiglieri di Santiagotentarono di esplodere un solo colpo di cannone contro i corsari che passavano all’assalto dal tessuto urbano, ma non ci fu modo di aprire il fuoco. Nicolas de Trejo, caporale di San Felipe, disse che la polvere da sparo era troppo umida. AGI, Escribanía, 462A, fol. 570r. Andrés Fernández Dávila af­fermò che per imperizia e fretta la palla venne incamerata prima della polvere, per cui l’arma non poté sparare. AGI, Escribanía, 462A, fol. 243v. Lo confermò il castellano di San Jerónimo, Pedro de Arredondo Agüero. AGI, Escribanía, 462A, fol. 246v. Antonio de Molina disse invece che il cannone sparò ma per il rinculo venne sbalzato dall’affusto, impossibilitando ulteriori salve. Ciò fu corroborato da Alonso Martin de la Parra, Juan Muñoz e Juan de Pineda. AGI, Escribanía, 462A, fols. 610v, 627v, 634r, 709r.

25 In questo caso il termine «pezzo» è usato con l’accezione di «nome generico di una bocca di fuoco».

26 AGI, Escribanía, 462A, fol. 648v. Si trattava in origine di un ospedale dedicato a San Sebastiano e il cui scopo primario era occuparsi dei feriti e malati tra i membri delle guarnigioni dei castelli, dalle quali dipendeva la salvaguardia della città. Dal 1629 venne amministrato dall’ordine ospedaliero di San Gio­vanni di Dio, dal quale prese il nome. Vedere Valencia, Relaciones de Indias, pp. 234, 235; Castillero Calvo, 2019, p. 1122. Il geografo e cartografo francese Jacques-Nicolas Bellin disegnò nel 1736 una pianta dell’insediamento, annotando i nomi degli edifici principali: «l’Eglise Paroissiale, la Merci e St. Juan de Dios» (Bellin, Le petit Atlas maritime, vol. II, tav. 15).

27 AGI, Escribanía, 462A, fols. 708v, 709r.

28 AGI, Escribanía, 462A, fol. 946r.

29 Testi, 2021, pp. 495-501. Morgan era a capo di un contingente il cui nucleo era costituito da 460 inglesi. Vedere Exquemelin, Piratas de la América, lib. II, cap. 6; Pope, 1978, p. 146; Earle, 1981, p. 53; Latimer, 2009, p. 169. Era comunque un numero ridotto di uomini, considerando che Porto Belo era pro­tetta, secondo Exquemelin, da due fortezze «inespugnabili» e 300 soldati. In verità, dalla documentazione dell’AGI si evince che appena 80 su un totale previsto di 200 difendevano Santiago de la Gloria e 49 su 113 presidiavano San Felipe (AGI, Escribanía 462A, fol. 108v).

30 Castillero Calvo fu categorico sull’argomento: «non c’erano monache né conventi femminili di clau­sura, e l’allusione che fece Alexander Exquemelin, uno dei medici di Morgan, fu il frutto della sua immagina­zione, dato che non si menzionarono in nessuna delle fonti spagnole note» (2016, vol. 2, p. 390).

31 Payton, 2013, p. 339; Sánchez Jiménez, 2013, p. 25.

32 Earle, 1981, p. 251; Breverton, 2005, p. 43.

33 Exquemelin, Piratas de la América, lib. III, caps. 6, 7.

34 Exquemelin, Piratas de la América, lib. II, cap. 6.

35 Alcune affermazioni dell’opera rientrarono così nel contesto di quelle «mitologie anglosassoni e ispa­ne» che, in qualche modo, vennero strutturate e poi tramandate sino ai nostri giorni, riguardo la guerra di corso nei Caraibi e, per esempio, le sue implicazioni morali. Vedere Sánchez Jiménez, 2013, pp. 12 e ss.; Berrío-Lemm, 2015, p. 9.

36 Sánchez Jiménez, 2013, p. 49. Frohock scrisse che Exquemelin mise in secondo piano ogni possibile qualità positiva dei filibustieri, celandola oltre una coltre di straordinaria crudeltà (2009, pp. 62, 63).

37 Pope, 1978, p. 150; Latimer, 2009, p. 177; Graham, 2014, p. 46. Morgan scrisse a Modyford che si ritirò da Porto Belo «lasciando le sue fortezze nelle medesime condizioni in cui le trovarono». Information of Admiral Henry Morgan, and his officers, of their late expedition on the Spanish coast, with the reasons of their late attempt on Porto Principe and Porto Bello, del 7 settembre 1668, in Sainsbury, Calendar of State Papers, Vol. V, p. 611. Persino le fonti spagnole confermarono l’affermazione del corsaro gallese. Il 19 maggio 1671 Antonio Sebastián de Toledo, il viceré della Nuova Spagna, sostenne che gli inglesi abbandonarono la città «lasciando intatti i castelli di Porto Belo» (AGI, México, 45, n. 33). Lo avvalorarono Juan e Ulloa nel 1735, affermando che il contingente nemico si ritirò «senza rovinare le sue fortezze» (Relación histórica del viaje a la América Meridional, part. I, lib. 2, cap. 2).

38 Per un’analisi dettagliata del processo si rimanda all’opera di Gibbs (2018, pp. 16 e ss.).

39 Apology printed by William Crooke, Crooke’s Second edition of Exquemelin’s «History of the Bucca­neers», del 1684-1685, in Hart, 1922, pp. 93 e ss.

40 To the Honourable Sir Henry Morgan These few lines are Humbly Dedicated, del 6 febbraio 1685-5 febbraio 1686, in Cruikshank, 1935, p. 384.

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